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venerdì 30 dicembre 2011

LA VICINA DI CASA

Si sveglia a mezzogiorno passato da poco, si beve una spremuta d’arancio e mangia una paio di fette biscottate con della marmellata, va in bagno si fa la barba poi decide di tornare a letto, tanto non ha molto di importante da fare e dopo una serata come quella che ha appena trascorso è meglio recuperare tutte le energia in vista della settimana che sta per iniziare.
Lorenzo Monti  ha quaranta anni è un uomo affascinate, un tipo brillate, virile, conquistatore è uno scapolo che sa orchestra le sue giornate a ritmo del divertimento dello sport senza rendersi schiavo del lavoro e della rutine pur essendo uno che lavora, fa il ripresentante di una prestigiosa azienda calzaturiera di Varese la Marchi Shoes.
Vive a Milano in un elegante condominio di Corso Vercelli e si gode la vita alla grande.
Torna a letto e si addormenta subito, lo sveglia il suono del campanello, guarda  li suo Rolex Oyster Perpetual da 34 millimetri in Acciaio, l’unica cosa che indossa oltre alle mutande a pantaloncino azzurre, le tre, va ad aprire la porta e si trova davanti Nadia la sua vicina di casa trentaseienne.
Bionda occhi di un azzurro intenso e una terza abbondante di reggiseno, indossa un abitino leggero quasi trasparente.
Lei lo guarda in modo eloquente, lo stesso sguardo di quasi tutte le domeniche che l’Inter gioca in casa a San Siro quando il marito e il figlio di sei anni vanno a vedere la partita.
Entra e chiude la porta dietro di sé, le butta le braccia al collo e lo bacia sulla bocca, lui la trascina fino in camera da letto, comincia a spogliarla lentamente, le passa una mano sulla vagina già umida.
 “Sono super eccitata non ne posso più.” Sospira mentre si sdraia sul letto di schiena.
Allarga bene le gambe per farlo eccitare di più, le sfila le mutande, le prende in mano il glande e lo dirige verso la sua fighetta, Lorenzo comincia a penetrarla piano con piccoli va e vieni, dopo un po’ lei le afferra le chiappe e le affonda le unghie nella carne tirandolo dentro di se con forza.
Lorenzo spinge dentro vigorosamente e comincia ad andare e venire sempre più in fondo con i testicoli che sbattono sulla figa di lei ad ogni colpo, vanno avanti cosi per un tempo indefinito finche non raggiungono l’orgasmo contemporaneamente ansimando e tremando quasi come in una crisi epilettica.
Nadia è una bellissima donna al apparenza un po’ snob, suo marito Sandro è un manager che lavora moltissimo e spesso è via per lavoro, no è che con Lorenzo abbia una relazione semplicemente si divertono insieme per lei è un modo di evadere dalla quotidianità.
“Ti faccio un caffè?” le chiede con dolcezza.
“Si grazie”
Si alza dal letto e va in cucina, conosce bene la strada e sa dove trovare tutto quello che le serve, torna dopo poco con in mano un vassoio e sopra una tazza di caffè fumante, è completamente nuda il suo corpo è uno spettacolo bellissimo ed eccitante, i seni sono opulenti sodi con i capezzoli sporgenti.
Lorenzo le afferra le tette e comincia a leccarle i capezzoli con la lingua, poco dopo lei scivola giù finché il pene eretto si trovò nel’ arcata dei seni, con le mani si stringe le tette intorno al suo pene imprigionandolo dentro e comincia a farle una spagnola, da prima piano piano poi aumentando il ritmo fino a che lui eiacula un getto di sperma che le arriva sul collo il mento e sul viso e che lei accoglie felice.
Stremati si rilassano sdraiati sul letto, lui si accorge che no ha bevuto il caffè ormai freddo.
“Te ne faccio un altro” chiede lei premurosa.
“ No fa niente lascia stare.” Le dice abbracciandola.
Verso le cinque, Nadia si riveste e torna nel suo appartamento ad attendere marito e figlio di ritorno dallo stadio mentre Lorenzo si infila sotto la doccia.
Alle sette indossa un abito blu di Canali, camicia bianca cravatta bordeaux di seta, scarpe nere eleganti ovviamente della Marchi Shoes, accende il cellulare e subito appare il messaggio “Due chiamate perse, Shailaja Bajaj”
Shailaja è una bellissima modella Indiana che vive a Londra è stata la testimonial della Marchi Shoes nel ultima campagna pubblicitaria.
“Perché non vieni a trovarmi? sono a Londra e ho pochi impegni nei prossimi giorni.”
“Devo vedere un attimo il lavoro, domani ti faccio sapere” 
“Va bene.” Le risponde lei.
La saluta e spegne di nuovo il cellulare lo infila intasca e esce.

giovedì 29 dicembre 2011

IL CAPO DI MIA MOGLIE

Alice era in cucina a preparare la cena, io ero appena rientrato in casa con la spesa e mi ero incantato a guardare mia moglie, bellissima, biondo cenere, fisico con le curve al posto giusto, a ventinove anni era uno splendore, indossava un elegante vestitino che la fasciava e metteva in risalto le sue forme, si era messa un grembiule da cucina per non sporcarsi che la rendeva ancora più affascinate, eravamo sposati da cinque anni  e la trovavo ogni giorno più bella.
-Viene Enrico? Le ho chiesto.
-Certo altrimenti mica mi mettevo a cucinare e di sicuro non mettevo questo vestito cosi elegante.
Enrico è il suo capo un uomo di cinquanta anni affascinate anche se un po’ tarchiato con i capelli completamente grigi e uno sguardo penetrante, sposato con due figli, ma soprattutto da un paio di anni è il suo amante, io ho sempre avuto profondo rispetto e una grande ammirazione per lui.
E' un tipo autoritario, per noi un padrino/padrone che ci tiene entrambi sospesi  tra la protezione e l’oppressione, senza mai essere violento, anche se a volte riesce ad essere molto crudele.
Verso le otto entrò in casa con le sue chiavi, da circa sei mesi aveva le chiavi casa nostra e andava e veniva come le pareva.
-Signor Enrico ben venuto, si accomodi, vuole un aperitivo. Le dissi andandole in contro.
-Si portami un aperitivo che poi dobbiamo discutere dell’antro giorno con te.
-Cosa intende signor Enrico.
-Al fatto che non hai lavato per tempo la biancheria intima di tua moglie, quella bella raffina  e delicata che indossa quando ci dedichiamo una serata io e lei.
-Mi scusi Signore ma andava lavata a mano e proprio non ho avuto tempo, mi scusi non succederà più, signor Enrico.
-Non credere di cavatela cosi facilmente imbecille e sbrigati con l’aperitivo, cornuto.
- Mi disse in modo secco.
-Mi scusi ancora Signor Enrico. Risposi a testa bassa, veramente dispiaciuto di averlo fatto innervosire, provo veramente un senso di gratitudine per lui che mi rende cornuto e soddisfa mi moglie come io mai sono riuscito, essendo molto inferiore a lui sessualmente e nelle dimensioni.
Mente mi sono girato per andare i cucina a preparare l’aperitivo e arrivata Alice con un sorriso dolce le sei è avvicinata, lui la prese per i fianchi la tirò a se baciandola con virile passione.
-Mettiti comodo, che la cena è quasi pronta. Le disse Alice con tono dolce.
Si sedette sul divano lasciandosi andare.
Alice come al solito le levò le scarpe e le mise un paio di comode pantofole da camera, mentre lui si era già messo a leggere il giornale.
La cena si svolse in tranquilla, per quasi tutto il tempo parlarono di lavoro.
-Il prossimo week end siamo a Londra, dobbiamo incontrare Mr. Tample lunedì mattina ma ne approfittiamo per farci un fine settimana, cosi ho la scusa per mia moglie.
-Si va bene domani mattina prenoto l’hotel e il volo.
-Mi raccomando, che non manchino i nuovi capi di biancheria intima che ti ho fatto comprare ieri per tua moglie. Disse Enrico rivolgendosi a me.
-Non mancheranno, stia tranquillo 
Ad un certo punto, Alice sempre rivolgendosi a me esclamò.
-Ho dimenticato i preservativi.
In quel periodo aveva dovuto sospendere la pillola per un certo periodo quindi servivano i preservativi.
-Vai a prenderli. Mi disse Enrico con un ordine secco.
Scesi per andare in farmacia, quella sottocasa era già chiusa, presi la macchina e cominciai a girare per trovare quella di turno, il pensiero che stavo girando per andare a comprare i preservativi che Enrico avrebbe usato per scopare mia moglie mi provocava un erezione, mi piace essere cornuto, cercai di andare più in fretta possibile ma il tempo passava velocemente.
Quando rientrai in casa li ho trovati già nel nostro letto, arrivai fino alla soglia della camera, la porta era aperta.
Il corpo di Alice era continuamente scosso da Enrico che si muoveva con vigore e la infilzava sempre più a fondo , lei gemeva e mugugnava, lui ansimava, le stringeva le natiche con forza, si baciavano, le loro lingue si intrecciavano in continuazione, Enrico la trafiggeva andando sempre più in fondo, sembrava si accanisse nel spingerglielo sempre più dentro, lei si muoveva sempre più freneticamente spingeva il bacino sempre più in avanti per accoglierlo ancora di più, mentre lui lo infilava fino alla radice, dopo un tempo indefinibile lei cominciò ad urlare, l’orgasmo era esploso intenso, anche lui arrivò al apice del piacere e del suo trionfo assoluto pronunciando oscenità e poi crollò pesantemente su mia moglie che cominciò teneramente ad abbracciarlo e accarezzarlo riempiendolo di baci dappertutto.
-Stavolta mi sa che mi hai castigata. Disse lei radiosa.
Io sulla porta della camera con la scatola dei preservativi in mano li osservavo, mi ignoravano completamente, solo quando Enrico si è alzato per andare in bagno mia moglie mi ha detto con un sorriso beffardo.
-Sei arrivato in ritardo, non abbiamo saputo resistere, vai almeno a baciarle i piedi per ringraziarlo, che mi sa che stavolta te la ricordi per sempre.
Quando è ritornato in camera, sono andato a baciarle i piedi come mi aveva suggerito mia moglie, poi guardandolo dal basso verso l’alto le ho detto
-Grazie.

Sei mesi dopo quella sera mia moglie girava mostrando orgogliosa come un trofeo il suo pancione gravido, non si era sbagliata, quella sera me la sarei ricordata per tutta la vita, Enrico l’aveva messa incinta.
Qualche giorno prima avevo partecipato ad una cena aziendale con loro, dove mi ero reso conto che la loro relazione era di dominio pubblico, la mia umiliazione era stata immensa, i sorrisetti nei miei confronti le mezze battute sussurrate dei colleghi erano state tremende.
Tornati dalla cena Enrico è venuto a casa con noi, sua moglie e i figli erano già partiti per la riviera dove avevano una casa, quindi lui passava moltissime notti da noi, naturalmente dormiva con mia moglie nella camera matrimoniale mentre io mi arrangiavo sul divano.
Da quando Alice era rimasta in cinta non si era più fatta toccare da me ed era diventata ancora più autoritaria, severa, inflessibile mentre invece con lui sempre più arrendevole, disponibile, aperta a tutte le sue richieste.
Enrico semplicemente mi continuava a trattare come servo e io inspiegabilmente provavo sempre più una specie di ansia servile nei suoi confronti, mentre lui manifestava in ogni occasione il suo disprezzo per me.
Mentre li spogliavo, Alice le disse
-Grazie Enrico, devo a te la mia felicità, prima di tè era tutto cosi banale e noioso, ma grazie soprattutto del bellissimo regalo che ci hai fatto,avere un figlio da tè è la cosa più bella che poteva capitarci.
-Hai sentito tua moglie, cornuto?
-Si signor Enrico grazie del figlio che ci date. Ho ribadito io
-Figlio che cresceremo felicemente insieme come omaggio al nostro unico e vero Signore.
Disse Alice, inginocchiandosi davanti a lui con la bocca al altezza del suo pene, a quel punto ho preso l’enorme membro di Enrico e lo ho infilato nella bocca di mia moglie che ha cominciato subito a spampinarlo avidamente, io ho cominciato a massaggiare le palle di Enrico finche lui non le è venuto in bocca e lei ha ingoiato tutto, appena Enrico si è ripreso mi ha detto
-Adesso vai fuori dai coglioni fila via e domani mattina sveglia alle sette con caffè e giornale.
Dal divano ho ascoltato i rumori che venivano dalla camera da letto, lo scricchiolio del letto, gemiti, sospiri, ancora gemiti poi anche risate.
La mattina dopo puntuale alle sette le portai la in caffè a letto con i giornali.
Mi ignorano completamente, si baciavano, sorseggiano il caffè che le avevo preparato sfogliavano il giornale che ero sceso a comprare al alba, poi lui mi disse
-Fuori che ho ancora voglia di scopare.
Lei ha indicato il suo pancione.
-Impara cornuto.
Mi ha detto ridendo.

mercoledì 28 dicembre 2011

AURORA cap 8

Padrona Elviria si era svegliata male, era nervosa, alle 7 in punto entrando in camera sua per portarle la tazza di caffè come ogni mattina, notai subito il suo sguardo particolarmente arcigno.
Appena posato il vassoio sul comodino, al improvviso mi rifilò due violenti schiaffoni in pieno viso che mi fecero barcollare fino quasi a cadere a terra, padrona Elviria ha le mani molto pesanti e i suoi schiaffi sono come treni che arrivano in pieno volto, un secondo dopo il mio viso era completamente rosso, a fatica trattenni le lacrime, mi era stato proibito piangere e se lo avessi fatto avrei dovuto subire dure punizioni.
-Tu stupida serva, mia figlia troppo buona con tè, io insegnerò a te come si serve Signora, perché tu non avere testa coperta con fazzoletto?
-Ohh mi perdoni padrona nella fretta mi sono dimenticata.
Un altro sberlone mi arrivò violento, poi con calma la signora Elviria si mise a sorseggiare il caffè, come mi era stato insegnato mi inginocchiai in attesa che avesse finito.
Una volta finito, scese dal letto e mi prese per l’orecchio sinistro, mi trascinò fino in cucina obbligandomi a camminare quasi piegata, prese uno strofinaccio di quelli che si usano per asciugare i piatti appeso al muro, quindi non pulito in quanto era già stato usato e mi obbligò a metterlo in testa come se fosse il fazzoletto legandolo dietro sulla nuca.
-Mai più voglio vedere te senza questo in testa, capito stupida sguattera schifosa.
-Si padrona, come comanda. Risposi con tono umile.
-Adesso tu baciare i piedi di tua padrona. Ordinò.
In quel momento apparve sulla porta della cucina padrona Rocsana.
Vedendola le feci l’usuale inchino di riverenza e mi arrivò un altro sberlone da parte di Elviria.
-Inginocchiati davanti a tua padrona. Urlò, velocemente ubbidii. 
-Che cos’è tutta questa confusione, mi avete svegliato e se continuate sveglierete anche Gianpiero.
-Questa serva non ha messo fazzoletto in testa. Disse Elviria.
-Vedo che lo strofinaccio da cucina le sta bene, da oggi in poi dovrà mettere sempre quello, anche quando esce a fare la spesa o ci accompagna in giro per il paese.
Solo a sentirlo dire già mi vergognavo e il mio viso divenne paonazzo.

Alle nove le padrone e Giampiero stavano facendo la colazione sul terrazzo di casa, Rocsana era eccitata, la sera avrebbe dato una cena con qualche amico per annunciare il suo imminente matrimonio con lo scapolo d’oro, l’uomo più sognato da tutte le ragazze in cerca di marito, appunto Giampiero.
Rocsana a 27 anni ormai era una donna ricca, grazie al pollo del mio ex marito, al quale aveva tolto tutto,
Gianpiero era ricco di famiglia e sembrava proprio che i due si amassero, in precedenza ogni suo amante mi aveva usato sessualmente per volere della mia padrona, Giampiero mai.
-Oggi grandi pulizie, per tutto il giorno. Annunciò padrona Rocsana.
-Controlla tu per piacere che la serva faccia le cose fatte bene. Disse ad Elviria, alla quale già brillavano gli occhi, vedermi sgobbare come un mulo la soma la eccitava.

Elviria era incontentabile il pavimento del salone me lo ha fatto rilavare tre volte, poi la spesa al supermercato, camminando con lo sguardo basso, dietro di lei, carica come un mulo delle buste della spesa con in dosso uno sgraziato grembiule da fatica, quello giallo di gomma ormai logoro e quello strofinaccio messo come se fosse un fazzoletto legato dietro la nuca, provocavano in me un forte senso di vergogna.
Una volta tornate a casa, mi ha mandato subito in cucina a preparare il pranzo per la sera, lei era sempre dietro a controllare e comandare, finché si è seduta su di una sedia della cucina.
-Serva venire subito a leccare mia figa. Ordinò.
Mi sono inginocchiata davanti a lei e ho conciato a lappare la sua vulva un po’ spelacchiata, lei ha aperto le sue cosce perché potessi infilare meglio la testa fra le sue gambe e la lingua fino infondo alla figa, credo di essere andata avanti per quasi mezzora la mia faccia era piena di secrezioni ma i suoi contini sussulti mi facevano capire che padrona Elvira gradiva molto, ad un tratto raggiunse l’orgasmo lungo e violento mentre io la leccavo con ancora più passione.
-Datti da fare serva, lecca tua padrona. La sentii mugugnare mentre raggiungeva l’apice del piacere, ho continuato e continuato fino al ultimo spasimo e poi ancora per ripulirla completamente, non sentivo più la lingua e le ginocchia erano informicolate dalla scomoda posizione tenuta cosi a lungo.

-Tu in ritardo con la cena, datti da fare per recuperare, anche un solo minuto di ritardo nel servire cena ti costerà punizione.
Elviria, un secondo dopo aver goduto selvaggiamente aveva già ripreso la sua normale espressione dura in volto.
La mia vita ormai era questa, duro lavoro e umiliazioni continue da parte delle padrone, non avevo più una vita privata ne un amica, nel quartiere tutti sapevano del dominio totale delle mie padrone su di me che una volta ero la signora Aurora e adesso solo la serva delle Rumene, come tanti mi chiamavano,  un incubo o un sogno dal quale però non volevo svegliarmi perche mi piaceva terribilmente.

AURORA cap 7

Il momento in qui Elviria e Rocsana prendono il caffè dopo la cena rilassate sul divano è il momento della mia supplica quotidiana, almeno una volta al giorno devo inginocchiarmi davanti a loro con la fronte appoggiata per terra e pregarle di tenermi al loro servizio.
Quella sera seduta a fianco alle mie padrone che prendevano il caffè con loro vi era anche la signora Mariagrazia del sesto piano e Giulia del secondo.
Inginocchiata a terra nella mia stessa posizione c’era Caterina la cameriera della signora Mriagrazia.
-Dobbiamo fare qualcosa, altrimenti queste due passano il tempo a chiacchierare fra di loro invece di lavorare. Disse la mia padrona Rocsana.
-Ah io a Caterina la mando alla trattoria qui a fianco a fare la lavapiatti da mezzogiorno alle tre, tanto io a quell’ora non ci sono, cosi la tengo impegnata.
Disse la signora Mariagrazia.
-Ottima idea. Ribadì la mia padrona mentre si guardava lo splendido anello con un grosso diamante incastonato che portava al dito.
Fu Giulia ad accorgersene.
-Ma è nuovo che splendore.
-Si me lo ha regalato Gianpiero ed è l’anello di fidanzamento.
In quel momento nessuno se ne accorse,anche per via della posizione in qui eravamo, solo io notai che dagli occhi di Caterina spuntò una piccola lacrima.

Giampiero abitava al terzo piano, era un affascinate trentenne di famiglia molto ricca, si era laureato a Boston e dirigeva una delle aziende di loro proprietà, da un paio di mesi usciva con Rocsana, innumerevoli erano le ragazze che aveva avuto per lo più modelle, Caterina era sempre stata segretamente innamorata lo immaginava come il principe azzurro che un giorno sarebbe arrivato a salvarla e l’avrebbe sposata rendendola ricca e felice.
-Ti ha chiesto di sposarlo? Chiese ancora Giulia un po’ contrariata, anche lei aveva mire su di lui.
-Certo ieri sera al ristorante si è messo in ginocchio in mezzo alla sala e me lo ha chiesto.
-E tu hai accettato.
-Accetterò, tra un po’ per adesso lo tengo sulle spine. E tutte si misero a ridere.
Si noto chiaramente lo sguardo di invidia di Giulia, mentre la signora Mariagrazia si dimostrò veramente contenta per Rocsana.

-Va bene allora per tenere impegnata Aurora se Giulia è d’accordo può andare due giorni a settimana a fargli le pulizie a casa, naturalmente a titolo gratuito per l’amicizia che c’è tra lei e me, ovviamente oltre alla pulizia delle scale e poi si occuperà del piccolo giardinetto del condominio. Rocsana aveva calcato la mano come potevo fare tutto mi domandavo impaurita tra me e me.
Caterina andò a baciare i piedi alla signora Mariagrazia, io feci lo stesso con la signora Elviria e con la mia padrona Rocsana, la quale mi ordinò secca
-Bacia subito i piedi alle altre due signore qui presenti.
-Anche tu Caterina bacia i piedi elle altre signore. Disse la signora Mariagrazia.
Io e Caterina ubbidimmo velocemente sena fiatare.
-Bene io vado a prepararmi che stasera esco con Gianpiero. Disse la mia padrona.
Le signore si alzarono e Giulia disse
-Allora se tu non hai bisogno avrei un lavoretto per Aurora.
-Prendila pure, tanto per stasera non mi serve.

Quella strega della Giulia mi ha fatto stirare una montagna di roba fino quasi a mezzanotte poi mi ha chiamato dal salotto dove era seduta sul divano.
-Quando vieni a lavorare da me devi mettere questi appena entri in casa. Mi disse indicando un grembiulone rosso di gomma e un altro grembiule di tela bianco, appoggiati su una sedia.
-Uno sopra l’altro?, signora Giulia. Chiesi.
-Certo in oltre devi portare sempre il fazzoletto in testa, ci tengo molto. Capito serva?.
-si signora Giulia.

Poi si tolse camicetta e reggiseno
-ti piacciono le mie tette? Mi disse.
-Sono bellissime signora Giulia.
-Baciamele, te lo ordino
Piazzai la testa tra i suoi grossi seni e cominciai a baciarla selvaggiamente, lei apprezzò e con una mano mi alzò la gonna mi abbassò le mutandine e cominciò a massaggiarmi la vagina, dopo un po’ mi infilò un dito nel sedere, mentre con l’altra mano le sue dita scivolavano nella mia vulva bagnata, per un tempo che mi è sembrato lunghissimo finché venimmo travolte da una pulsione sessuale sublime, gemevo di piacere mentre Giulia scese dolcemente verso il mio sesso bagnato e con le mani mi accarezzava delicatamente le cosce, mi infilò la testa tra le gambe e iniziò a leccarmi la figa con calma la lingua si infilava in profondità delle mie parti intime, ad un certo punto sentii un forte calore salirmi dentro, poi ancora mi infilò con un colpo deciso due dita nella figa e un altra nel culo, riuscii a trattenermi a stento dal urlare, non so per quanto tempo non ho capito più niente, poi tornai in me quando sentii l’inconfondibile rombo della Jaguar di Gianpiero entrare nel cortile per andare nei garage sotterranei. 

-Sta ritornando a casa la mia Padrona signora Giulia, posso andare da lei, di solito ha bisogno di me, la devo aiutare e struccarsi e spogliarsi.
-Si vai. Mi rispose fredda.
Sono rientrata in casa proprio mentre la mia padrona e il fascinoso Giampiero si stavano dirigendo in camera da letto.
-Aurora svegliaci domani mattina alle otto mi con la colazione. Disse la mia padrona mentre chiudeva la porta dietro di se, non mi restava che ritirami nello sgabuzzino a sdraiarmi sulla mia brandina.

AURORA cap 6

Lavare otto piani di scale mi spezza la schiena, specialmente nelle giornate di pioggia quando ogni persona che entra lascia le impronte delle suole bagnate e mi tocca rilavare, nell’atrio c’è sempre un gran via vai di persone e nessuna si cura minimante di pulirsi i piedi sugli zerbini prima di entrare,dovendo lavare tutto stando in ginocchio perché la mia padrona Rocsana è convita che quello è l’unico modo per lavare bene e far venire pulito come si deve, cerco di tenere sempre la faccia rivolta verso il basso per evitare gli sguardi dei condomini, anche se è impossibile passare inosservata in quanto la mia Padrona mi fa indossare il grembiule giallo di gomma pesante che salta particolarmente al occhio.
Ogni tanto la signora Elviria, la madre della mia Padrona Rocsana, apre la porta di casa e mi urla dalla tromba delle scale.
-Auroraaa.
-Comandi Signora  Elviria. Le rispondo
-Tu dovere sbrigarti, che avere bisogno di te in casa.
-Arrivo subito signora Elviria. Rispondo interrompendo il lavoro per andare in casa a sentire di che cosa ha bisogno, a volte vuole che le faccia il tè altre un massaggio ai piedi, altre volte mi manda a comprare qualcosa.
Alla fine tra un interruzione e l’altra è l’ora di andare a preparare il pranzo, Rocsana torna sempre affamata dalla palestra e non le piace aspettare.
Mi ero appena cambiata il grembiule di gomma ormai sporchissimo per infilarmi quello bianco che uso per cucinare, quando ho sentito la padrona entrare in casa, dal vociare ho capito che era con Giulia la sua amica del secondo piano, una ragazza di ventisei anni sfacciata e volgare che ride in continuazione.
Sento che si salutano e si danno appuntamento nel pomeriggio, esco dalla cucina per andare salutare la mia Padrona ma l’arcigna Elviria mi blocca mettendosi davanti a me, abbasso lo sguardo.
-Posso lasciare momentaneamente il lavoro per andare a salutare la mia padrona? Chiedo
So che Rocsana ci tiene molto ad essere ossequiata inginocchiandosi ai suoi piedi e porle il mio bentornata a casa baciandole le scarpe e cerco di farlo sempre.
-No tu ritardo in cucina, torna lavoro. Fu l’ordine perentorio della signora Elviria.
Dopo neanche due minuti sento suonare il campanello, vado ad aprire è Giulia.
-Chiama la tua padrona subito. Mi dice con il suo sorrisetto da presa in giro.
-Si signora Giulia.
-Padrona Rocsana, la signora Giulia la vuole.
-Ciao Giulia cosa è successo?
-E’ successo che la lavascale qui presente non è passata a pulire il mio piano.
-Ma vi giuro che sono passata Padrona. Rispondo a capo chino
Uno schiaffo in peno volto di Rocsana mi colpi facendomi perdere l’equilibrio fino quasi a cadere, appena mi sono rimessa in equilibrio me ne è arrivato subito un altro.
-Chiedi perdono in ginocchio alla signora Giulia, subitooo.
Rossa dagli schiaffoni e dal umiliazione mi sono messa in ginocchio.
-La prego di perdonarmi signora Giulia, provvederò appena possibile a lavare il suo piano.
Giulia con uno sguardo soddisfatto non mi guarda neanche.
-Sai che questa serva scansafatiche perde un sacco di tempo quando fa le scale a chiacchierare con Caterina la servetta di Mariagrazia del sesto piano, lei è spesso via e le due se ne approfittano.
-No Padrona non è vero, mi ha solo dato un bicchiere d’acqua una volta, ho bevuto e mi sono subito rimessa al lavoro.
Mi arrivò un altro schiaffone.
-Non osare contraddire quello che dice la signora Giulia, serva schifosa e chiedigli ancora perdono.
-Perdono signora Giulia non succederà più.
-Per punizione andrai a farle le pulizie a casa della signora Giulia domenica pomeriggio,adesso fila a preparare il pranzo che poi mentre io e mia mamma mangiamo tu devi andare a lavare il secondo pino,  poi quando arriva la signora Mariagrazia dobbiamo avvisala che la sua servetta perde tempo con te.
-Non ti preoccupare Giulia, dirò a mia mamma di controllarla di più.
-Si adesso controllare io che nostra serva faccia lavoro. Ruggì Elviria.
Mentre le mie padrone pranzano solitamente mi fanno stare inginocchiata ai loro piedi e danno i loro avanzi, è stata Elviria a decidere che non potevo preparami del cibo e dovevo sfamarmi solo con gli avanzi, ma quel giorno mentre loro mangiavano mi mandarono a rilavare il secondo piano, che era già stato lavato ma Giulia ci godeva troppo nel vedermi umiliare e si era inventata tutto.
Con tanto di secchio e straccio mi sono messa giù in ginocchio a strofinare, dopo pochi secondi Giulia ha aperto la porta di casa e mi ha guardato mentre lavoravo, con aria maligna.
-Impegnati di più, frega più forte senò lo sporco non va via.
-Si signora Giulia.
E lei si mette a ridere di gusto
Dopo aver lavorato duramente per oltre venti minuti, Giulia è uscita sul pianerottolo con un bicchiere di latte in mano, guardandomi negli occhi sadicamente lo ha rovesciato per terra.
-Oh che peccato, si è rovesciato, devi rilavare tutto.
Mi sono sentita svenire, ero cosi abbattuta che non mi ero neanche accorta che Elviria era arrivata alle mie spalle,forse per controllarmi.
-Mia figlia bisogno di te serva Aurora, vai veloce da lei.
Mi sono sentita salvata propri dalla mia aguzzina, incredibile.   

La mamma della mia padrona è orgogliosa della posizione che si era fatta la figlia, partita dalla Romania povera in canna e diventata una ricca giovane signora, di come ha schiavizzato me e fregato mio marito che ormai non vive più con noi.
Per non dovermi pagare gli alimenti, prima della causa di divorzio aveva intestato il mega store di articoli e abbigliamento sportivo, comprato e avviato con i soldi della vendita del azienda di mio padre, a Rocsana, in modo da risultare che lui non avesse niente, l’idea era che dopo si sarebbero spostai e tutto sarebbe tornato a posto, ma la mia astuta padrona una volta sicura che tutto fosse suo lo ha lasciato e cacciato di casa.
L’appartamento era l’unica cosa intestata a me, un regalo di mio padre, cosi oltre ad essere serva in casa mia devo anche pagare le bollette di luce, gas e telefono, quest’ultima molto pesante per le innumerevoli chiamate in Romania da parte della mia padrona e la signora Elviria, e cosi se me va quasi tutto il misero stipendio che Rocsana mi da e che ormai è il mio unico sostegno, mentre lei ora è davvero la padrona e vive come una regina ha la possibilità di spendere molto per i suoi vizzi e naturalmente ha molti amanti e a volte passano anche mesi prima che si lasci toccare da me, poi improvvisamente le viene la voglia e allora magari mi tiene nel suo letto per un pomeriggio intero, mi concede di leccarla dappertutto, le passo la lingua su tutto il corpo, non vuole che usi mai le dita devo farla godere solo con la lingua affondandola sempre più lontano fino a strusciare il naso sul clitoride le riempio di saliva il pube e la parte alta della cosce fino a quando mi ritrovo la faccia coperta dalle sue secrezioni, i suoi sussulti spasmodici mi fanno capire che e giunta all’orgasmo.
La signora Elviria invece è molto più brutale ama usare uno “strap on” un pene artificiale montato su un imbragatura che si lega in posizione dei genitali maschili e diventa come un pene eretto, mi fa mettere alla pecorina con le chiappe tenute aperte dalle mani in modo da vedere bene il buco e me lo infila dentro, brucia parecchio e mi da l’ impressione di dover andare di corpo ma poi passa e il piacere è intenso, come essere posseduta da un uomo

Quando sono tornata al secondo piano per rilavare il pavimento ho trovato Caterina già al lavoro.
-La mia padrona mi ha mandato per punizione a pulire il piano e poi la casa di quella strega ballista della signorina Giulia, le ha detto che perdiamo tempo a chiacchierare. Mi ha sussurrato con un filo di voce per non farsi sentire.
Io e Caterina ci siamo guardate negli occhi e ci siamo capite come si capiscono madre e figlia o due sorelle, quella era la nostra vita e la nostra esaltazione nell’ umiliazione.   

AURORA CAP 5 "sempre più in basso"

La mia padrona mi aveva fatto mettere una brandina nello sgabuzzino delle scope tra gli stracci, secchi e detersivi, una volta posizionata mi aveva detto.
-Qui ci stari benissimo,  questo è il tuo posto da adesso in poi.
Dalla Romania stava per arrivare era la signora Elviria mamma di Rocsana che si sarebbe sistemata nella camera dove dormivo io da quando Rocsana aveva preso il mio posto nel letto con mio marito.
Per l’occasione la mia padrona mi aveva fatto fare due divise perché davanti a sua mamma dovevo essere solo la serva, una era la classica nera con grembiulino bianco in pizzo di sangallo e crestina, per servire a tavola, l’altra era per i lavori di casa, un camice a righine bianco e azzurro con un grembiule bianco ampio e pesante, avevo accettato anche questo per amore suo e di mio marito, anche se mi coinvolgevano sempre di meno nei loro rapporti sessuali, ormai dovevo limitarmi a guardali mentre scopavano e poi fare la sguattera ripulendoli entrambi dalle secrezioni con la lingua nelle parti intime.
Solo quando era particolarmente su di giri la mia padrona mi permetteva di accarezzarla, sentirla torcersi e contrarsi con le mie carezze mi rende fiera di me, darle godimento anche senza riceverlo mi faceva essere felice, il momento di dolcezza che mi regalava dopo ave goduto, quando mi passa la mono sulla testa, come fa un padrone con il suo cane buono mi ripagava di tutte le volte che era fin troppo dura con me.
Un umiliazione terribile era stata quando in una riunione di condominio per decidere l’impresa che doveva fare le pulizie delle scale, Rocsana aveva detto.
-Inutile spendere soldi per l’impresa, la pulizia delle scale e dell’atrio le può fare gratis Aurora.
Tutti hanno subito aderito alla proposta e da allora due volte a settimana mi toccava lavare le scale, otto piani, ogni tanto qualcuno si lamentava del mio lavoro con  Rocsana e a quel punto lei mi mandava immediatamente a rilavarle per intero, poi quando rientravo in casa mi faceva mettere in ginocchio e cominciava a frustarmi con lo scudiscio sulle natiche finché non diventavano rosso fuoco, nei casi più gravi mi faceva stare dritta con il busto con le mani dietro la nuca e mi frustava le tette.
Erano passati due anni da quando Rocsana era entrata  nella mia vita e iniziò la mia schiavitù, tutto per me era cambiato, anche il mio aspetto fisico non era più lo stesso , niente più trucco, capelli rasati a mazzo centimetro, indossavo sempre i suoi vecchi abiti o camici informi e grembiuloni sempre legati ai fianchi, ed ora anche le divise che sancivano la resa totale, era il capolavoro della mia padrona Rocsana, riuscita anche ad imbruttirmi e rendermi invisibile agli occhi degli uomini.
Mentre lei 27 enne bellissima sempre con aria riposata e rilassata, elegantissima e curatissima aveva tantissimi ammiratori e qualche amante.     
Edoardo, mio marito da sempre era un burattino nelle sue mani, faceva qualsiasi cosa le chiedesse.
Rocsana era anche riuscita a farle assumere con un ruolo importante e un sostanzioso stipendio un suo amante, Antoniu anche lui Rumeno cinquantenne, convincendolo che era suo cugino.
In realtà era un suo amate che spesso veniva anche a casa quando Edoardo era via per lavoro, i due facevano sesso per ore chiusi in camera, poi di solito era lui a chiamarmi.
-Serva baldracca, lavami con la lingua davanti e dietro, sbrigati.
Le prendevo il pene ormai molle, senza imboccarlo lo leccavo per fargli il bidè, solitamente cominciava ad eccitarsi, e allora si distendeva sul letto a pancia in giù e mi ordinava di provvedere al dietro, con la massima devozione senza tralasciare nessuna piega lo leccavo fino in fondo.
Antoniu vedendomi umiliata in quel modo si eccitava sempre parecchio e questo infastidiva la mia padrona che appena ne aveva l’occasione mi cacciava via.

La signora Elviria arrivò un Venerdì pomeriggio aveva 55 anni piuttosto grassottella, con uno sguardo arcigno e duro, si dimostro subito spietata e mi manifestò il suo disprezzo immediatamente.
La sera stessa mentre servivo la cena, con la divisa nera classica da cameriera, disse
–Tu serva e tu dovere vivere come serva, in Romania serve mangiano avanzi di padroni dopo che loro andati a dormire.
Ho guadato prima mio marito che non mi considerava neanche e poi la mia padrona che ebbe per me uno sguardo compassionevole ma non disse niente.
La mattina dopo la signora Elviria aveva stabilito che quotidianamente dovevano essere lavati oltre ai pavimenti rigorosamente in ginocchio, tutti i vetri della casa, il bucato andava fatto a mano due volte a settimana, stiratura tre volte a settimana, lucidature argenteria due volte a settimana, altre al lavaggio del auto di Rocsana una volta a settimana.
La signora Elviria doveva essere sempre salutata con un inchino ogni volta che la si incrociava, facendo attenzione a tenere gli occhi abbassati, servita velocissimamente, guai a ritardare un secondo, quando ordinava qualcosa.
Dopo un paio di giorni dal suo arrivo ormai regnava sovrana, per aver lucidato le sue scarpe a suo dire non bene come voleva lei mi aveva sputato in faccia, un umiliazione cosi non l’avevo mai provata, poi mi ha impedito di ripulirmi facendomi restare a lungo con la sua saliva che mi colava rossa dalla vergogna e l’umiliazione, una settimana dopo per aver stirato una sua gonna con una piega sbagliata mi ha schiaffeggiato fino alle lacrime.
Dopo due mesi le mie padrone avevano convinto Edoardo a chiedere il divorzio.






AURORA cap 4 "grazie padrona"

Dopo cinque giorni che scontavo la punizione, ero ormai la barzelletta di tutto il quartiere, tenere il grembiule giallo di gomma, anche quando uscivo era terribilmente umiliante.
Tutti sghignazzavano al mio passaggio, invano avevo supplicato la mia padrona di condonarmi la punizione ma non c’era stato niente da fare, cosi ero quasi contenta la mattina quando dovevo svolgere lavori domestici pesanti: lavare i vetri delle finestre, lavare a fondo cucina e bagni, lavare i pavimenti in ginocchio. Per i pavimenti  la mia padrona aveva quasi una mania, dovevano essere splendenti, lucidati tutti i giorni senza nessuna eccezione, compreso domeniche e festivi e molto spesso mi li faceva rilavare perché non era mai soddisfatta, rigorosamente giù in ginocchio era un lavoro massacrante ma sempre meglio che uscire a fare le commissioni con il grembiule da sguattera.
Rocsana certi giorni non si faceva nemmeno sfiorare ne da me da mio marito, altri giorni invece la dovevo leccare da capo a piedi, le dovevo passare più volte la lingua sui capezzoli e poi gli e li succhiavo fino a che non le diventavano rossi.
Solitamente quando tornava dalla palestra non si faceva toccare, andava di corsa a farsi una doccia, quel giorno invece mi ordinò di seguirla in bagno, si fece spogliare, mi fece inginocchiare davanti a lei poi mi ordinò di leccagliela, io amo farlo cosi a comando di sorpresa, fin dai primi colpi capii che era appena stata con un uomo il quale le aveva eiaculato dentro, mi misi a leccargliela con ancora più gusto e passione mentre anche io mi bagnavo, sono bastate poche leccate perché venisse nella mia bocca, riempiendomi dei suoi umori misti ai residui di sperma del uomo che l’aveva posseduta prima, il mio corpo e la mia mente si incendiarono di passione, stavo per avere un orgasmo, ma lei si riprese e mi ordinò duramente
“Preparami il bagno”
Sicuramente il rapporto sessuale non lo aveva avuto con mio marito che quella mattina era via per lavoro.
Pensai tra me e me senza dire niente.

Mentre lei era nella vasca a rilassarsi cominciai a preparare il pranzo, ero indaffarata tra pentole e pentolini quando improvvisamente Rocsana arrivò in cucina avvolta in un asciugamano, parlava al cellulare.
“Allora arrivi ti aspetto, ciao” La sentii dire
“Schiava prepara per due.”
“Si padrona.” Penasi che Edoardo fosse tornato prima dal suo impegno e rientrava per il pranzo.
“Vieni qui.” Mi ordinò
Rocsana prese uno strofinaccio da cucina e me lo mise in testa tipo bandana.
“Cosi va meglio, devo comprarti dei fazzoletti da mettere in testa.” Disse con aria divertita
Ci mancava anche questa, pensai, è luglio fa un caldo boia, devo tenere il grembiule di gomma pesantissimo che mi faceva sudare come una fontana, adesso ci mancava anche il fazzoletto in testa come le contadine di una volta.

Verso l’una suonò il campanello, strano Edoardo di solito entrava con le sue chiavi. Pensai.
“Vai ad aprire stupida” Mi ordinò secca Rocsana.
Mi trovai davanti un uomo alto e robusto, sui quarant’anni, chiaramente di origini Nord Africane, molto affascinante, che mi fissò intensamente.
“C’è la signora Rocsana?” Chiese in modo gentile e in un buon italiano.
“Si entri pure.” Risposi
Lo feci entrare e un secondo dopo apparve Rocsana.
“Amid, sei arrivato finalmente.”
Le buttò le braccia al collo e si baciarono a lungo, quando si staccarono la mia padrona mi guardò con aria di sfida, io abbassai lo sguardo, in segno di sottomissione.
“Abbiamo fame, servici il pranzo, schiava”
Mi ordinò in secca.
Si sedettero a tavola, consumarono il pasto che io le servii come una perfetta cameriera, scherzando tra di loro e ignorandomi completamente, io provavo un forte senso di vergogna abbigliata come ero, il grembiulone giallo di gomma e lo strofinaccio in testa, mi umiliavano profondamente,  sembravo uno spaventapasseri, mentre lei Rocsana si era messa un favoloso vestito di Valentino, che la faceva sembrare ancora più bella di come era.
“Amid, questa mattina è stato bellissimo meglio del solito, ho una voglia pazzesca di farlo ancora.” Disse Rocsana con aria sognante.
Non aspettarono neanche il caffè, andarono subito in camera e chiusero la porta dietro di loro.
Mi chiamarono dopo circa tre quarti d’ora     
Amid mi si avvicinò mentre lei era rimasta distesa sul letto, mi spogliò con le sue forti mani, poi in modo un po’ brutale e selvaggio mi prese in mano le tette, con la bocca cominciò a mordermi il capezzolo, provocandomi dolore e piacere, mi fece sdraiare sul letto a fianco a Rocsana, poi i apri le cosce con forza, si mise le mie gambe sulle spalle e mi trafigge con un colpo secco,il suo pene e cominciò a muoversi freneticamente dentro di me, mi colse un ondata di beatitudine, persi la cognizione del tempo, non so quanto sia durato ero in entasi lui affondava i colpi sempre di più, finché esplose l’orgasmo inondandomi completamente.
Rocsana era rimasta li sdraiata al mio fianco, si era guardata la selvaggia scopata stranamente senza intervenire in nessun modo, improvvisamente mi prese la testa tra le mani e mi baciò con passione.
Quando si staccò guardandola languidamente riuscii solo a dire.
“Grazie padrona” 

AURORA cap 3 "pesanti umiliazioni"

Eravamo uscite a fare la spesa nei negozi sotto casa, Rocsana era elegantissima perfettamente truccata e fresca di parrucchiere, mentre io indossavo un vecchio vestito leggero stile contadinella di stoffa scadente, un grembiule rosso con i bordi bianchi e un paio di infradito ovviamente scalza, la mia padrona mi voleva senza calze, con ciabattine infradito in estate e nei mesi freddi con gli zoccoli e al massimo delle calze di cotone da uomo fino alle caviglie, se proprio la temperatura era rigida.
Portavo i pesanti sacchetti della spesa che contenevano frutta, verdura, e cibarie varie del minimarket, mentre lei aveva un elegantissima borsa di Gucci, in oltre mi aveva proibito qualsiasi tipo trucco, in modo da farmi proprio sfigurare di fianco a lei.
Gli sguardi delle persone che ci incrociavano, mi provocavano vergogna imbarazzo umiliazione ma anche eccitazione, Socialmente quello era il mio funerale, la mia fine, ne ero consapevole e nonostante questo camminavo al suo fianco apparentemente tranquilla, ma dentro di me si mescolavano tante emozioni.
Pur di leccare la sua bellissima passera e sentirla venire copiosamente nella mia bocca, le avevo giurato fedeltà e obbedienza assoluta, disponibilità di essere al suo servizio 24 ore su 24 senza nessuna pretesa di ricompensa o godimento e silenziosa sopportazione delle umiliazioni e punizioni.
Incrociammo diverse persone che ci conoscevano, spietatamente Rocsana si fermava a fare due chiacchiere con tutti, io stavo li in silenzio sperando di scomparire.
I sorrisini gli sguardi indagatori mi umiliavano, ma in me umiliazione e eccitazione vanno di pari passo.
Quando finalmente rientrammo a casa erano circa le diciotto e trenta, l’ora in qui dovevo dedicarmi alla preparazione della cena, invece Rocsana mi mandò a lavarle la sua nuova Mini Cooper fiammante, naturalmente regalatale da mio marito che era parcheggiata giù nel cortiletto del condominio.
Mentre le lavavo la macchina passarono diversi condomini che mi osservarono, qualcuno con un sorriso, qualcuno con espressione di pena, qualcuno incuriosito. 

Quando dieci anni fa avevo sposato Edoardo lui lavorava nel azienda di mio padre come dipendente, essendo figlia unica quando mio padre si ritirò lascio tutto a me e io concessi a mio marito il totale controllo e pieni poteri del azienda, dopo circa tre anni, Edoardo la vendette e con i soldi incassati apri a suo nome un enorme negozio di abbigliamento sportivo.
Sono sempre stata sottomessa a mio marito che è un uomo affascinate, le ho sempre dato fedeltà e ubbidienza, in quel periodo lui era al massimo della carriera del guadagno con un affermato prestigio pubblico, mentre io mi ero trasformata in una casalinga sempre affannata nei lavori domestici.
Rocsana l’ho conosciuta nella associazione dove facevo volontariato, era appena arrivata dalla Romania non ancora nella comunità Europea e quindi necessitava di permesso di soggiorno, mi diedi molto da fare e riuscii a farglielo avere in breve tempo, poi la presi in regola a lavorare come colf con un regolare stipendio che ho sempre continuato a versarle.
Subito il primo giorno ha cominciato a fare la civetta con mio marito e dopo una settimana era la sua amante.

Appena finito di lavarle la macchina ritornai in casa, lei era seduta sul divano a guardare la televisione, mi guardò con aria schifata, ero sudata, il grembiule era sporchissimo e bagnato come il vestito.
“Stavo pensando che ti serve una divisa da lavoro e una per servire a tavola” disse.  
“Adesso fila a preparare la cena che tra poco sarà qui Edoardo e cambiati che sei conciata da far schifo” Aggiunse in tono secco.
Nonostante tutto riuscii a servire la cena con pochi minuti di ritardo, ma Rocsana lo fece notare a mio marito il quale mi ordinò di sollevare il vestitino da dietro e mi diede una sonora sculacciata cosi seduta stante poi dovetti andare a mettermi in ginocchio davanti alla padrona per scusarmi.
“Divina Signora Rocsana, la prego di perdonare la sua umile e indegna serva per non aver servito la cena puntuale, la prego di punirmi severamente in modo possa capire la mia mancanza e non ripeterla più.”
Lei mi i guardò con uno sguardo di ghiaccio.
“Per tutto il mese di luglio indosserai sempre il grembiule giallo in gomma pesante da lavapiatti, dal mattina appena sveglia fino a quando andrai a dormire, anche quando uscirai a fare le commissioni o mi accompagnerai per lo shopping.”
“Pietà Padrona è pesantissimo fa un caldo incredibile e poi in giro per il quartiere, pietà vi prego.”
“Insomma basta, te lo sei meritato.”  Affermò con fare duro e deciso.
Mi veniva da piangere solo al pensiero, l’umiliazione era tremenda, un conto è scendere a prendere due cose sotto casa con un normale grembiule da casalinga, un conto e andare in giro sempre con quel grembiule di gomma pesantissimo.
Tra me e me ho pensato e sperato che fosse solo una minaccia per farmi paura.
Finito di cenare, Rocsana si alzò e andò in cucina, prese la scodella di plastica che mi aveva fatto comprare al minimarket, versò dentro i suoi avanzi poi la posizionò per terre ai suoi piedi.
“Questa sarà la tua cena”
Ero esterrefatta non riuscivo a comprendere tata cattiveria e perversione, cercai con lo sguardo Edoardo sperando la fermasse, invece
“Ringrazia la padrona che ti da i suoi avanzi da mangiare, è un vero onore che ti fa”
Con le lacrime agli occhi dalla vergogna e dal’umiliazione sono appena riuscita a farfugliare.
“Grazie padrona”
Raccolsi la scodella per portarla in cucina e consumare il mio pasto, ma fui fermata energicamente da Rocsana, che con la mano mi trattenne.
“No cara devi magiare per terra come una cagna.”
La rimisi dove l’avevo raccolta e camiciai a magiare cercando di vincere lo schifo e di nascondere la mia eccitazione che preveniva dal’umiliazione.